Una notte friulana di nebbia leggera, un pareggio che non placa il brusio. La Lazio scende dal pullman, ma il dibattito resta acceso: si parla di episodi, di rispetto, di quella linea sottile tra giudizio ed errore che cambia umori e classifiche.

Lazio Protesta Contro Arbitraggio: “Errori a Nostro Sfavore, Chiediamo Rispetto e Uniformità”
Il campo della Dacia Arena racconta un 1-1 che vale un punto. Il resto lo riempiono voci, replay, fermo immagine. Chi guarda il calcio lo sa. I dettagli pesano. Una trattenuta, un contatto, un cartellino. A Udine tutto sembra essersi giocato su quella soglia. La squadra esce ordinata, i tifosi commentano in treno, sul telefono scorrono clip. Le emozioni si mischiano ai regolamenti.
La discussione cresce, ma il punto centrale arriva solo dopo. Il club pubblica una nota. Sceglie parole misurate, non leggere. Cita “episodi che incidono sull’equità della competizione”. Chiede “rispetto” e “uniformità”. Usa concetti chiave del nostro tempo calcistico: trasparenza, coerenza, responsabilità. È un messaggio diretto agli arbitri, ma anche al sistema. Al cuore del tema c’è l’arbitraggio e, inevitabilmente, il VAR.
Il comunicato e i punti contestati
La Lazio, dopo l’1-1 in Udine, ribadisce una tesi netta: certe valutazioni possono orientare la partita. Non entra nei dettagli pubblici degli episodi. Al momento, non risultano disponibili audìo completi di sala VAR relativi alla gara; il format “Open VAR” (AIA/DAZN) pubblica settimanalmente clip selezionate, non sempre tutte. Qui si innesta la richiesta del club: più uniformità nella lettura dei contatti, più chiarezza nei criteri su falli di mano, trattenute e gestione dei cartellini.
Chi segue il campionato ricorda incidenti celebri. Juventus-Salernitana 2022: un fuorigioco mal valutato per l’angolo di camera, poi ammesso pubblicamente. E molte ambiguità sul handball, oscillate tra “sagoma” e “innaturalità” del braccio. Sono precedenti che spiegano perché una società chieda garanzie: non privilegi, ma standard.
Questione di uniformità: cosa dice il regolamento
La base è chiara. L’IFAB definisce i campi di intervento del VAR: gol, rigori, rossi diretti, scambi di identità. C’è la soglia del “clear and obvious error”. Non tutto è rivedibile. Non tutto è ribaltabile. Ma il principio guida è l’uniformità applicativa. In Italia, l’AIA ricorda ad inizio stagione linee di condotta. E la Lega ha aperto finestre di trasparenza con “Open VAR”. La coerenza però si misura la domenica, azione dopo azione.
Qui la richiesta della Lazio si fa concreta: uniformare i parametri. Stesso contatto, stesso metro. Stesso “grip” sul fallo di mano: distanza, braccio in aumento del corpo, intenzionalità residuale. L’equità nasce da una grammatica comune. E la fiducia nasce dal sapere perché si decide in un modo e non in un altro, specie quando il gioco si ferma, l’arbitro mima il rettangolo e lo stadio trattiene il fiato.
Un dettaglio personale. Ogni volta che il direttore di gara corre all’on-field review, il rumore cambia. Diventa un ronzio d’attesa. E lì capisci cosa chiede chi sta in campo e sugli spalti: un esito comprensibile, replicabile, spiegabile. Il resto lo accetti.
La Lazio oggi mette nero su bianco la sua posizione. Chiede rispetto, chiede uniformità, chiede una competizione che non lasci zone grigie. È un atto di parte, certo, ma anche un invito al sistema. Alla fine, cosa vogliamo dal calcio: perfezione impossibile o una giustizia abbastanza buona da farci credere, ogni domenica, che il risultato sia davvero nostro?





