Dalle notti magiche di Madrid e Berlino ai primi trio͏nfi del doppio ’34-’38, facciamo un viaggio dentro le immagini che tutti abbiamo ancora in testa. Perché certe partite sono indiment͏icabili? I Mondiali 2026 si avvicinano e, in attesa di scoprire chi alzerà la coppa, ripercorriamo i successi e i gol dell’Italia.

Quando pensiamo ai Mondiali, non possiamo non pensare all’Italia che ha conquistato ben quattro titoli nel 1934, 1938, 1982 e nel 2006. È tra le nazionali che hanno vinto di più, a un solo passo dal Brasile. Sei finali giocate, un archivio di gol, di abbracci e di urla che fa parte della nostra memoria collettiva. E sì, dopo le assenze del 2018 e del 2022, l’orizzonte 2026 (48 squadre, fase a 12 gironi) riaccende le aspettative e le conversazioni. Se vuoi sapere in anteprima il costo dei biglietti, puoi acquistare online su Hellotickets e puoi assicurarti i posti migliori con largo anticipo. Intanto, però, facciamo un po’ di ordine e tiriamo fuori dal cassetto i ricordi più belli, quelli che ci hanno reso famosi in tutto il mondo.
Il bis che ha aperto la strada: 1934-1938
Si parte da qui, dai due Mondiali vinti di fila che hanno acceso il mito. In casa nel 1934, poi in Francia nel 1938, un doppio colpo che nessuno aveva mai fatto, con una squadra capace di infilare sette vittorie consecutive tra quarti ’34 e finale ’38, record rimasto in piedi per decenni. In panchina c’era Vittorio Pozzo, l’unico allenatore nella storia a vincere due Coppe del Mondo, un primato che racconta gestione, idee e una modernità sorprendente per l’epoca.
È un calcio ancora in bianco e nero, ma le immagini sono chiarissime, difesa compatta, ripartenze pulite, personalità nei momenti che contano. Quei due trofei sono la base del nostro rapporto, spesso irrazionale, con il Mondiale, l’idea che l’Italia, prima o poi, la partita della vita la giochi come sa fare.
Madrid 1982: urla, abbracci e un capitano di 40 anni
Quell’11 luglio al Bernabéu è la notte che ha messo d’accordo tante generazioni. Il 3-1 alla Germania Ovest, l’urlo di Marco Tardelli dopo il 2-0, un misto di liberazione ed euforia, e la mano ferma di Dino Zoff, capitano a 40 anni, il più grande a sollevare la Coppa. In Spagna il Mondiale è una scalata, Paolo Rossi passa dal silenzio ai titoli, capocannoniere e miglior giocatore del torneo, la famosa tripletta al Brasile come immagine-simbolo della svolta.
L’Italia di Bearzot è una squadra di facce riconoscibili, di amici del Subbuteo e delle figurine, che nell’ora decisiva non trema. Chi c’era ricorda la tv di casa piena, chi non c’era ha imparato a memoria i nomi. E ogni volta che rivediamo quel gol di Tardelli, ci viene ancora la pelle d’oca.
Berlino 2006: un rigore, una parata e un abbraccio
Alzi la mano chi non rivede la corsa di Fabio Grosso, le braccia spalancate, il pallone che tocca la rete e libera un Paese. La finale con la Francia è un film in tre atti: vantaggio Zidane su rigore, pari Materazzi, tempi supplementari tesi, l’espulsione di Zizou, poi i penalty perfetti dell’Italia e la parata di Buffon stampata nella memoria quanto quel cucchiaio iniziale.
In quella notte, 69 mila persone all’Olympiastadion e milioni davanti alla tv, era la squadra che arrivava dal caos estivo e che si è ricomposta intorno a un’idea semplice, concreta, dove ogni giocatore sapeva esattamente cosa dare. Lippi ha costruito un gruppo con i nervi saldi, capace di non sbagliare nulla dal dischetto. A distanza di anni, è ancora la nostra cartolina più recente dal tetto del mondo.
Le finali che bruciano e insegnano: 1970 e 1994
I ricordi belli, a volte, nascono anche dal dolore. Le due finali perse col Brasile, quella del 1970 in Messico, dopo la semifinale eterna con la Germania e quella del 1994 negli Stati Uniti, restano delle ferite indelebili ma anche utili. Nella sconfitta c’è l’immagine di una nazionale che sa arrivare fino in fondo e che, strada facendo, costruisce un senso. Per molti, quelle partite sono state la prima volta vissuta con il papà o con il nonno davanti alla tv d’estate, l’Italia come rito familiare, come calendario emotivo che scatta ogni quattro anni.
Assenze, ritorni e attesa: perché il 2026 pesa già adesso
Le mancate qualificazioni del 2018 e del 2022 hanno lasciato dei segni profondi, soprattutto nelle nuove generazioni e spiegano perché il Mondiale 2026, tra Canada, Messico e Stati Uniti, sia già al centro dell’attenzione di tutti. La formula allargata a 48 squadre con 12 gironi da quattro, il nuovo turno a 32 e il calendario dall’11 giugno al 19 luglio 2026 ridisegnano l’evento e le abitudini dei tifosi.
L’Europa dispone di 16 posti: un numero che racconta quanto sarà affollata e competitiva la corsa, con il girone europeo disputato da marzo a novembre 2025 e i playoff fissati a marzo 2026. Intanto, la domanda è esplosa: nella prima finestra di vendita si sono registrate più di 4,5 milioni di richieste, con l’Italia nella top ten dei Paesi più attivi. Basta questo per capire l’aria che tira.





